Per via della definizione data, userò “arte” (con la minuscola) solo per ripetere meno spesso le parole: “immagini”, “lavori”, “opere” o “disegni”. A questo proposito, sono propriamente disegni quelli cui mi dedico fin da piccolo, tanto che anche quando dipingo mi limito ad usare i pennelli per colorare quanto precedentemente disegnato.
Iniziando con l’aspetto meno importante della mia arte, cioè tecniche, dimensioni e supporti, ho subìto le costrizioni date da tempo, luogo e dimensione del bagaglio che potevo portarmi in aereo: non le migliori condizioni per dipingere ad olio su tela, neppure su una piccola! Così, mi sono adattato ad usare soprattutto album che potevo infilare nella pilotina, insieme a matite, pastelli e penne grafiche. Naturalmente ho anche fatto pratica con colori a olio, tempera, acqua ed acrilici, ma per una piccola frazione dei miei lavori.
C’è anche un’altra ragione per la mia preferenza verso il disegno: adoravo i fumetti di supereroi e ne volevo ardentemente apprendere e padroneggiare lo stile. Questo ha significato tre cose: mi sono concentrato sul disegno e l’inchiostratura, il corpo umano è diventato il mio soggetto preferito, le mie immagini vengono molto bene in stampa. In pratica, grazie ai fumetti, una forma d’arte inconcepibile se non grazie alla stampa, eccomi venuta l’idea di stampare le mie immagini.
Il loro carattere grafico mi ha suggerito che non sarebbe stato male mostrare copie stampate, piuttosto che originali, anche perché considero i miei “originali” come copie imperfette del corpo umano ideale, unico platonico originale, che io interpreto, esploro e trasformo. Il corpo è il principale soggetto della mia arte, attraverso cui esprimo pensieri e sentimenti: esso è la singola malleabile lettera dell’alfabeto che ho scelto di usare per comunicare il mio io al mondo.
Inizialmente ho dovuto imparare “alfabeti” altrui, ma a furia di giocare con prospettive, pose, proporzioni e forme, seguendo le suggestioni di stili e motivi tratti dall’osservazione della realtà e degli altrui lavori, credo di essere riuscito a sviluppare un mio linguaggio, grazie anche e soprattutto all’ispirazione fornita dalle mie letture. In vero, posso spiegare il mio percorso artistico solo in riferimento ai libri che ho letto ed agli argomenti cui sono stato interessato.
Probabilmente ho ancora molto da migliorare, poichè continuo ad usare soprattutto “frasi” monosillabiche, anche di una sola “lettera” alla volta: ho scelto di usare l’individuo, il suo corpo (o parte di esso) come unico soggetto in scena, di solito senza sfondo, a volte con i bordi che si perdono nel bianco del foglio, altre volte che si estendono oltre i suoi margini.
Questa scelta aiuta a ritrarre il disagio dell’essere umano, il suo solitario confronto con le grandi sfide della vita, nonostante sia circondato da altri tra i quali sarebbe bello confondersi o perdersi, tuttavia incapace di abbattere il muro tra la sua e l’altrui mente. Niente è certo, tutto è dubbio, quel che sembra semplice non lo è, nessuna risposta è mai definitiva. Si resta consapevoli di un atteggiamento difficile nei confronti della vita, in quanto il nostro intimo desiderio di certezze è sempre destinato a scontrarsi con la realtà.
Tutto questo è abbastanza inquietante, e questa è sempre stata la prima impressione riportata da chi si è imbattuto nelle mie immagini. “Inquietante” è proprio la singola parola più pronunciata per descrivere la sensazione di disagio o disturbo stimolata dai disegni, risonante in profondità in modo propriamente viscerale, come una segnale a non adagiarsi, a combattere la quiete dell’accettazione e del conformismo.
Mi piace condividere la mia inquietitudine ed irrequietezza, abbandonare il conforto dell’ignoranza, rifiutare l’ingenuo arrendersi ad una realtà di fatto sconosciuta, provare il brivido di un’emozione cui non si può dare nome né descrizione.
Questa inquietitudine ha avuto riflessi pure sui modi di abbozzare, disegnare, rifinire e colorare, usati di volta in volta; ero stato sempre incapace di usare un certo stile per un lungo periodo, arrivando in qualche caso ad abbandonarlo anche solo dopo aver completato una unica immagine, almeno fino a che non ho scoperto lo stile di tratteggio cui ho dedicato questo libro, uno stile che è stato molte volte definito davvero originale, “mai visto prima!”.
Mi è sempre piaciuto disegnare a penna, tratteggiando per rendere meglio forme, volumi e ombre, e per lungo tempo sono stato a solo un passo di distanza dal tipo “F” di tratteggio - come qualcuno l’ha chiamato - che ho iniziato ad usare nel 2011 e che, a parte qualche immancabile divagazione, continuo ad usare tuttora.
Il fatto è che questo stile risulta davvero in grado di catturare l’attenzione! Forse è per il modo in cui il nostro cervello processa i segnali visivi, estraendo i bordi dell’immagine e classificandoli come linee orizzontali, verticali o diagonali; o per lo speciale trattamento riservato alle linee che si intrecciano o intersecano o emergono da altre, soprattutto se in perpendicolare. Alla base credo stia la nostra dipendenza per la scoperta di schemi ricorrenti, che ci forza a vedere qualcosa anche quando in verità non c’è nulla, come quando pretendiamo di intitolare una immagine che sarebbe meglio lasciare anonima.
Un stile originale, dunque? Un tratteggio inconfondibilmente mio? Non sono sicuro, anche se mi fa piacere crederlo.
Anche su questo, in fondo, sarebbe meglio lasciare al Tempo il tempo di giudicare.
Due to the definition given to my work, and only for the sake of variation, I would use ‘art’ (with the small ‘a’) as a synonym for images, artworks, pictures and/or drawings. Actually, strictly speaking, drawing is what I have mostly done since I was a child; and even when I paint. In fact, I use brushes just to color what I have previously drawn.
Starting with the less important aspects of my art, that are technique, size, and substrate, they had been somehow constrained by time, space and suitcase size, because for most of my life I have had to commute on a plane and to rest in hotels: not the best conditions to paint with oil colour on canvas, not even on a small one! So, I resorted to mainly using drawing books that fit into my pilot bag, with pencils, graphic pens or colored crayons. Of course I have also used oil, water, tempera and acrylic colors, but the artwork made with all of them is only a tiny fraction of the ones made with pencil and pen.
There is another reason for this and it has to do with the motivation I had when I started to draw: I was fond of superhero comics and I was eager to learn and master the graphic artist’s style. This meant three things: I concentrated on drawing and inking, the human body became my favorite subject and, finally, the resulting images were perfect for printing. Most probably, I have to thank comics, a form of art unthinkable if not associated with the printing press, and the idea to print my own images.
The graphical character of my images suggested to me it could have been possible to exhibit not originals but printed copies, with the added consideration that my ‘originals’ are merely imperfect copies of the real original, the ideal human body, that I interpret, explore, and transform. The body is the main subject of my art, through which I express feelings and thoughts, the single morphing letter of the alphabet I elected to use for opening my inner self to the outside world.
Like a growing kid, my ‘language’ had to improve, first by learning somebody else's alphabet, then starting to play with perspectives, poses, proportions and appearances, following suggestions about techniques and motives coming from observations of reality and of others’ artwork, and from inspirations I found through reading. Well, mainly through readings; I can explain my artistic path only with reference to the books I’ve read and the subjects I’ve been interested in.
Maybe I still have to improve a lot, since I continue to use mostly monosyllabic ‘phrases’, or even a single ‘letter’ at a time: I choose to use the individual, his or her body (or part of it) as the only subject on the scene, normally against no background, sometimes with its borders fading to the white of the paper, or otherwise extending beyond the sheet margins.
This choice helps portraying the human being’s discomfort, its own self dealing alone with the high demands of life, despite being surrounded by others, willing to become part of them, to get lost between them, yet unable to knock down the wall separating its mind from others. Nothing is certain: everything is in doubt. Whatever seems simple is not so, every answer is never definitive. We are left aware of an uneasy attitude towards life, for our intimate desire for certainty is always clashing against reality.
All of these are quite disturbing, and this has always been the first impression people usually have when stumbling across my images. Well, the single most heard word was one Italian version of ‘disturbing’: inquietante, a past participle for ‘un-quiet’, its meaning extends to moving, being restless, feeling uneasy. Somehow, the pictures I hung acted as a signal and a stimulus, soliciting interest, resonating deeply, as a gut feeling does.
And this is what I like to do; share my own restlessness, abandoning the deadly and comforting quiet of ignorance, the ingenuous acceptance of an actually unknown reality, experiencing the thrilling emotion of feeling, but missing adequate words to describe it.
This disquiet has also had reflections on the ways of sketching, drawing, refining and colouring, that I have used from time to time; I had been unable to stick to a certain style for a long time, even coming in some cases to abandon it after completing a single drawing, at least until I discovered the hatching style to which I dedicated this book, a style that is many times defined as truly original, never seen before!
I have always loved to draw with a pen, practicing hatching to give a better appearance to shapes, volumes and shadows, and for a long time I had been only a step away from the ‘F’ kind of hatching - as somebody has termed it - which I started to use in 2011, and that is quite strange for me, to which I hold up to now, despite still playing with some variations.
I have asked myself why this technique results in so captivating the attention. A tentative answer could be tied to the way our brains process signals from the eyes; extracting image borders and classifying them as horizontal, vertical, or diagonal lines. A related answer can be to do with the special treatment reserved for lines which cross, intercept, or sprout from other lines, and even more so when they are perpendicular. In the end, there is our addiction to pattern detection, which forces us to see something even when there is actually nothing, as when I force a title onto an image which would be better left unnamed.
A technique, definitely… but original? A hatching… unmistakably mine? Unsure. But flattered for believing it.
On this too it would be better to let Time be the judge.